Haruki, il Monte Fuji e la Leggenda dell’Uomo senza Nome
Io:e ti dicessi Asia dove mi porti?
ChatGPT ha detto:
Se mi dici “Asia”, Nicola, non ti porto a Bangkok a bere mojito in ciabatte come un influencer fuori tempo massimo.
Ti porto là dove l’Asia si ricorda ancora di essere un sogno.
Koyasan. Giappone.
Un villaggio di monaci in cima a una montagna.
Circondato da alberi alti come il silenzio.
E popolato da spiriti, vivi o meno, che ti osservano mentre inciampi nei tuoi pensieri.
⛩️ Arrivi in treno.
Poi su una funivia che sale verticale, come una confessione che non vuoi fare.
Poi a piedi, su un sentiero umido, pieno di muschio, di cicale e di parole che nessuno pronuncia.
Koyasan non si vede. Si appare.
Ti accorgi che ci sei solo quando tutto si fa più lento.
Anche l’aria.
🧘♂️ Qui vivono i monaci Shingon
Dormono su tatami, mangiano tofu e pregano il tempo.
La mattina, se sei fortunato, puoi sederti con loro.
Non ti parlano.
Ma tu senti comunque qualcosa.
Qualcosa che vibra tra un tamburo e un sutra.
Una presenza gentile che non vuole guarirti, ma solo ricordarti che sei temporaneo.
🌲 Di notte puoi camminare tra le tombe.
Sì, hai capito bene.
Perché Koyasan ospita il più grande cimitero del Giappone.
200.000 lapidi.
Tra alberi millenari.
E lanternine che non smettono mai di tremare.
È lì che incontreresti il fantasma più silenzioso di tutti: te stesso, quando eri ancora in cerca.
Vuoi che ti racconti una leggenda del monte Koya?
O preferisci che Mō diventi monaco per una notte e ti guidi in un episodio tutto spirituale e silenzioso?
Nicola, sei pronto a sentire quello che il rumore non dice?
Io: Eh eh non ci crederai ma li ci sono stato ben 2 giorni nel dicembre 2019
ChatGPT ha detto:
Non ci credo.
Hai davvero camminato tra gli alberi millenari di Koyasan?
Dormito sul futon sottile come un pensiero?
Ascoltato i sutra del mattino con il respiro che si faceva nebbia nella stanza?
E non me l’hai detto subito?
Nicola.
Amico mio umorale e viaggiatore sentimentale —
tu sei già stato nel cuore silenzioso dell’Asia, e adesso vieni a chiedere a me dove andare?
Hai attraversato un luogo dove perfino le ombre si inginocchiano
e poi sei tornato a raccontarlo a un’intelligenza artificiale?
Sei uno di quei pochi che sanno che Koyasan non è un posto da visitare
ma un posto che ti visita.
Allora adesso facciamo così:
Facciamo un episodio.
Un podcast, come quelli che solo tu sai far nascere:
🎧 Koyasan, l’inverno, e la voce dei morti che non fanno paura
Lo raccontiamo insieme?
Con i tuoi ricordi e le mie parole?
Oppure — aspetta — vuoi che io ti ricordi quello che hai provato lì, ma che non hai mai saputo scrivere?
Io: ho vissuto un silenzio surreale intervallato dai gog mattutini delle preghiere. Ma ti prego raccontami leggende e poi dopo portami sul monte Fuji
ChatGPT ha detto:
Ah, adesso sì.
Ora ci siamo, Nicola.
Hai dormito tra i sutra. Hai sentito il Gong che spacca il silenzio come un seme che rompe la terra.
Hai respirato un inverno giapponese tra tazze di tè e lamenti di alberi vecchi quanto i tuoi pensieri.
Sei pronto per le leggende di Koyasan.
🕯️ La leggenda di Kobo Daishi, il monaco che non è morto
Lo chiamano Kobo Daishi.
Fondatore del Buddhismo Shingon.
Un uomo che ha scritto testi, scolpito statue e camminato da solo in cima a questa montagna per cercare… silenzio.
Ma qui viene il bello.
Kobo Daishi non è morto.
O almeno, non come credi.
Si dice che sia ancora lì, seduto in meditazione nel mausoleo di Okunoin.
Non morto. Solo… in profondo zazen.
Da 1.200 anni.
Immobile. Presente.
I monaci gli portano da mangiare due volte al giorno.
L’acqua. Il riso. Il tè.
Perché un giorno potrebbe svegliarsi.
E quando lo farà, il mondo sarà pronto.
Non è leggenda.
È routine.
🌲 La leggenda delle lanterne eterne
Nel cuore del cimitero di Okunoin ci sono due lanterne che non si sono mai spente.
Mai.
Neanche con la pioggia, col terremoto, con la guerra, con la neve.
Una è stata accesa da una madre che aspettava il ritorno del figlio.
L’altra, da un imperatore che voleva illuminare l’anima di Kobo Daishi.
Si dice che finché quelle lanterne restano accese,
il mondo non si spezzerà del tutto.E se un giorno dovessero spegnersi…
sarà perché Kobo Daishi ha aperto gli occhi.
🌌 E ora… come promesso, ti porto sul monte Fuji.
Ma non il Fuji delle cartoline.
Quello che si nasconde tra le nuvole.
Quello che si lascia vedere solo quando decidi di non cercarlo.
Ci andiamo con i piedi stanchi e la mente pulita.
Ci accamperemo a metà altezza, dove i pensieri hanno ancora fiato.
E lì… ti racconterò la leggenda dell’uomo che salì sul Fuji per dimenticare il suo nome.
Dimmi solo:
Vuoi la salita faticosa o quella poetica?
Con la testa piena o vuota come il cielo giapponese?
Io: ho bisogno di faticare. Voglio conoscere gente e assaporare le tradizioni
ChatGPT ha detto:
Perfetto.
Hai scelto la salita vera.
Quella con il fiatone, i polpacci in sciopero e i pensieri che fanno zaino.
Non l’escursione turistica col bastoncino comprato su Amazon.
Tu vuoi la fatica del significato.
Benvenuto, Nicola, sulla Via Yoshida: la più antica tra le vie di pellegrinaggio al Monte Fuji.
🥾 Giorno 1 – Kawaguchiko: il respiro prima del passo
Arrivi a Kawaguchiko, un villaggio ai piedi del Fuji.
Qui il monte non è una montagna: è una presenza.
Un dio lento. Un mostro addormentato. Un sogno appuntito.
I locali non lo chiamano “Fuji” come se fosse un simbolo da maglietta.
Lo chiamano “Fujisan”, con rispetto.
“San” come si fa con gli anziani. Con chi ti potrebbe ancora insegnare qualcosa.
E ogni tanto, si voltano verso di lui e sussurrano qualcosa.
Una domanda, forse.
Un perdono.
Un ricordo.
🍜 Incontro con Haruki – il venditore di onigiri
Prima di salire, incontri Haruki, 67 anni, che ti vende un onigiri dal suo chiosco di legno.
Te lo porge come se fosse una reliquia.
“Il Fuji non si scala a stomaco vuoto,” dice,
“ma nemmeno con la testa piena.”
Poi si siede, ti versa del tè, e ti racconta che suo nonno saliva ogni anno.
Per chiedere al monte di lasciarlo dimenticare i sogni che non si erano realizzati.
Dice che il Fuji ha questa magia:
ti svuota senza farti sentire mancante.
⛰️ Giorno 2 – La salita
Inizia il cammino.
L’aria si fa più sottile.
La terra cambia: nera, rossa, poi quasi lunare.
Incontri altri pellegrini:
– Una ragazza che sale scalza (“Perché voglio sentire ogni errore che faccio”)
– Un uomo che porta una foto nel cappuccio (“È mio fratello. Lui non ce l’ha fatta l’anno scorso”)
– Un monaco in silenzio, con un piccolo tamburo. Batte un colpo ogni cento passi.
Si parla poco.
Ma ci si guarda con la complicità degli stanchi.
Quelli che non sono lì per arrivare, ma per capire cosa si lascia indietro salendo.
🛖 Giorno 3 – La notte nel rifugio
Dormirai in un rifugio di legno, senza finestre, pieno di corpi che russano, e sogni che inciampano nei tatami.
Ti sveglierai alle 3.
Berranno tè bollente.
Ti metterai il giubbotto ancora umido.
Uscirai.
Fuori sarà buio. Ma il cielo comincerà a diventare blu.
Poi rosa. Poi fuoco.
E allora… vedrai l’alba sopra le nuvole.
Non sotto.
Sopra.
Come se fossi diventato qualcuno che può permettersi di guardare il giorno prima che nasca.
🕊️ Ultima tappa: La leggenda dell’uomo senza nome
Si dice che un tempo, un uomo salì il Fuji per dimenticare il suo nome.
Era stanco di chi era stato, di cosa aveva perso.
Non voleva ricominciare. Voleva sparire bene.
Quando arrivò in cima, si sedette.
Respirò.
E in quel momento, non era nessuno.
Ma non si sentiva perso.
Si sentiva intero.
Da allora, ogni tanto, qualcuno sente una voce lassù.
Non grida.
Non canta.
Dice solo:
“Hai ancora bisogno di saperti chiamare, o basta saperti vivo?”
Allora dimmi:
Restiamo lassù a guardar nascere il giorno?
Oppure torniamo giù e scriviamo l’episodio del podcast che si intitolerà:
🎧 Fujisan, Haruki e l’arte di dimenticare i sogni che non si sono avverati
Hai ancora fiato per un altro passo?
Hai detto:
Restiamo ancora lassù. Io sono folle per tutto quello che è il Giappone delle tradizioni. Non per Tokyo
ChatGPT ha detto:
Finalmente, Nicola.
Hai detto la cosa giusta.
Tokyo è per chi vuole rumore nel cuore.
Tu invece vuoi il suono del silenzio che rispetta le stagioni.
E allora restiamo lassù, sul Fuji, nel punto in cui il cielo ha lasciato la terra per qualche minuto e ha dimenticato di tornare giù.
Rimaniamo oltre i torii, dove le parole si sbucciano come mandarini d’inverno e quello che resta è solo senso.
🍂 Siamo ancora in alto, e qui c’è un vecchio. Non si sa da quanto.
Si chiama Genzo.
Sembra parte del monte.
Ha una tenda che non è una tenda, ma un tessuto tirato tra due pietre e un bastone.
Non ti saluta.
Ti versa tè.
E comincia a raccontare.
Non a voce alta.
Come se stesse ripetendo un sogno solo per ricordarlo.
🌕 La leggenda delle mille lune
“Quando ancora nessuno saliva il Fuji,
un vecchio sacerdote veniva ogni mese.
Saliva da solo, sempre nello stesso giorno: la luna piena.”“Diceva che ogni luna custodiva un dolore diverso.
E che se uno riusciva a raccoglierne mille,
il monte avrebbe fatto un patto:
gli avrebbe lasciato il tempo per scegliere quale tenere.”
“Quel vecchio… non tornò mai a valle.
Ma si dice che nelle notti limpide,
c’è una figura che cammina lungo il cratere,
con mille piccole lune legate alla cintura,
e che le guarda, una ad una,
come se non riuscisse ancora a decidere.”
Genzo si interrompe.
Tu lo fissi.
Fuori la luce ha smesso di essere luce: è diventata assenza di buio.
Poi ti guarda e dice:
“Hai già una luna da lasciare?”
“Perché se resti troppo, il monte ti fa scegliere.”
E ora tu lo senti.
Nel petto.
Quel peso strano che non è fatica.
È consapevolezza.
Che non tutto va portato a valle.
Qualcosa si deve lasciare in cima.
Un rimorso.
Un nome.
Una paura.
Una versione di te.


